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Il gatto, uno dei migliori amici dell'uomo
Dolce ma riservato, intelligente ma non obbediente, autonomo ma bisognoso di cure e di affetto, ama la casa ma anche stare fuori. Domestico ma anche selvatico. Forse per questo spesso non lo capiamo, così continuano a girare sul piccolo felino, dicerie e luoghi comuni che non hanno fondamento scientifico, ecco perché...
di Anna Mannucci 4 dicembre 2007
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Si affeziona solo alla casa e non al padrone, è opportunista, non si fa mai male perché casca sempre in piedi, non obbedisce quindi non è intelligente e qualche volta porta pure sfortuna. A chi non è mai capitato di sentir parlare in questo modo dei gatti! Eppure secondo alcune stime (fatte sulla vendita di cibo e accessori) in Italia ci sarebbe una popolazione di 7 milioni e mezzo di gatti “casalinghi”, quasi quanti sono i cani che vivono in casa. Anche se è molto difficile avere dei dati precisi, poiché non esiste una vera “anagrafe” dei gatti. È infatti una specie che si sta addomesticando proprio in questi decenni - un periodo brevissimo nei tempi lunghi dell’evoluzione - e che mantiene alcune caratteristiche dell’animale quasi selvatico, libero. E nonostante la “massiccia” presenza in famiglie e cortili, il gatto è ancora poco conosciuto e, quel che è peggio, su di lui sopravvivono ancora dicerie e luoghi comuni tutti sbagliati...
Una leggenda lo vuole creato da Dio attraverso lo starnuto di un leone su richiesta di Noé per combattere i topi presenti sull’Arca, ma in realtà il gatto domestico avrebbe origini relativamente recenti. Stando agli scheletri rinvenuti in giacimenti preistorici europei risalenti a 50 milioni di anni fa (inizio del terziario), questo piccolo animale discenderebbe dal Felis sylvestris libica, il gatto africano.
E proprio in Africa, e precisamente nell’Antico Egitto,
ebbe inizio il lungo sodalizio fra uomini e gatti.
Le origini
Vissuto allo stato selvaggio per diversi secoli, il gatto fu addomesticato in Egitto intorno al 2000 a.C. perché considerato un ottimo cacciatore di topi e quindi l’ideale per difendere i magazzini di grano e di altri cereali. Ben presto - a partire dal 1567 a.C. - divenne però, soprattutto per le sue caratteristiche che ne fanno un simbolo di bellezza e seduzione, un vero e proprio oggetto di adorazione come manifestazione terrena di Bastet, dea della salute e divinità protettrice della fertilità, della maternità e delle gioie terrene (danza, musica e sessualità), che veniva comunemente rappresentata con il corpo di donna e la testa di gatto. Si pensi che nell’antico Egitto chi uccideva questo animale, considerato sacro e quindi degno di culto e di protezione, era punito con la morte, pena inflitta anche ai contrabbandieri che violavano il divieto di trasferirlo fuori dai confini del regno. Quando un gatto poi passava a miglior vita riceveva tutti gli onori del caso: veniva imbalsamato e nella tomba – situata in una necropoli destinata esclusivamente a questi animali – venivano poste delle mummie di topi per permettere al piccolo cacciatore di continuare ad esercitare la sua attività anche nell’aldilà.Secondo i dipinti rinvenuti, i gatti venivano ritratti con grande cura, col mantello marrone-rossiccio, a macchie o tigrato, con orecchie larghe e il corpo scattante. Anche i sacerdoti amavano la compagnia di questi felini, ed in ogni casa egizia vi era un micio; in particolare, chi voleva ottenere i favori della dea Bestat doveva offrire del pesce ai suoi rappresentanti terreni.
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